Silvio Berlusconi Editore: in libreria dal 5 settembre i primi tre titoli della casa editrice

Tony Blair (in contemporanea mondiale insieme a UK e USA), François Furet e Voltaire le prime tre uscite della SBE

Tony Blair On leadership l’arte di governare, François Furet Il passato di un’illusione – l’idea comunista nel XX secolo e Lettere inglesi di Voltaire sono le prime tre proposte della nuova casa editrice.

On leadership L’arte di governare di Blair si colloca nella collana Libera, dedicata alle opere che trattano temi di attualità. Invece, Il passato di un’illusione di Furet e Lettere inglesi di Voltaire, tradotte in italiano per la prima volta da Antonio Gurrado, sono stati concepiti nella serie “Biblioteca”, focalizzata sui grandi classici che hanno vinto la sfida con il tempo.

Come stabilire le priorità e affrontare le crisi? Come bilanciare le vittorie a breve termine con i cambiamenti strutturali a lungo termine? Qual è il modo migliore per attrarre investimenti, per riformare la sanità o l’istruzione e per garantire la sicurezza dei cittadini? Sono queste solo alcune delle domande più significative che costituiscono l’asse portante del saggio di Tony Blair sull’arte di governare. L’ex primo ministro inglese, infatti, capitalizza la propria esperienza ultradecennale  di governo accettando di non eludere le grandi questioni ancora aperte sulla scena mondiale, che chiedono di essere affrontate a viso aperto per dare un contributo ai leader dei nostri giorni. Il track record dell’autore, il suo impegno a sostenere i Paesi in via di sviluppo, il lavoro per la pace in Medio Oriente e la lotta agli estremismi gli hanno garantito gli strumenti per dare un giudizio lucido e disincantato sull’odierna situazione politica. Mai come oggi, d’altra parte, la qualità del governo di una nazione è determinante per il suo successo. Ci sono Paesi, infatti, che vedono al proprio interno la medesima popolazione, analoghe risorse e stesso potenziale di crescita, eppure alcuni risultano performanti, altri, invece, implodono: dunque è la natura della leadership ad essere chiamata in causa in quanto fattore dirimente tra Stati in crescita e Stati in difficoltà.

Una voce a sé, all’interno di On leadership, è quella rappresentata dalla tecnologia, che non viene trattata come uno tra i fenomeni che i leader devono gestire, bensì come la “trasformazione epocale” che incide su tutti i Governi, rispetto alla quale occorre decidere da che parte stare, se nutrire pregiudizi sorpassati piuttosto che essere predisposti al cambiamento, innanzitutto di sé. Si legge infatti nel xix capitolo: [l’IA generativa rappresenta] un’alterazione radicale dei principi fondamentali su cui si basa [il sistema]”. Secondo Blair la rivoluzione tecnologica “permette di attuare misure che hanno conseguenze reali in un lasso di tempo ragionevolmente breve – entro un ciclo elettorale”, poiché “l’Intelligenza artificiale è l’unica soluzione realistica per migliorare la produttività nel comparto privato [e] nel servizio pubblico”. Nello stesso tempo Blair vuole sottolineare che “spetta a ciascun leader decidere che uso fare di questa rivoluzione onnicomprensiva”.

Sul versante storiografico, nella collana “Biblioteca” si staglia la figura di François Furet, noto per le sue opere fondamentali sulla Rivoluzione francese e sul Comunismo, e per avere diretto nella sua lunga carriera l’École des hautes études en sciences sociales di Parigi. Lo storico, nell’opera Il passato di un’illusione a cura di Marina Valensise, mette a tema l’idea comunista analizzandone il difficile rapporto tra le attese suscitate dal punto di vista delle condizioni socio-economiche e quanto realizzato fino alla dissoluzione dell’URSS del 1991. L’autore chiarisce questo paradosso sottolineando come connotato del leninismo “l’idea che la vecchia Russia, appena uscita dallo zarismo, inventi un regime sociale e politico che possa e debba servire d’esempio all’Europa e al mondo intero, ponendosi per di più in continuità con la storia dell’Occidente”. A questa pretesa nutrita dai Bolscevichi a partire dal 1918 fanno ancora eco le seguenti parole di Furet: “l’illusione non <accompagna> la storia comunista: ne è costitutiva”. La smentita dei fatti rende ancora più incalzante “la storia dell’illusione del comunismo”. È questo il tema del libro e non la storia del comunismo, come vuole evidenziare l’autore nella prefazione.

Ancora nella collana “Biblioteca”, Lettere inglesi di Voltaire (edizione italiana a cura di Antonio Gurrado), tra le opere di grande attualità nonostante lo scenario diverso che ne ha accompagnato gli albori.  Il focus di Voltaire, infatti, è il tema del superamento delle logiche di governo feudale per sbarcare in una società più libera, scevra da superstizioni e appassionata del sapere scientifico. Torna dunque il tema cardine su cui poggia il percorso ideale dell’Editore, quello della libertà, così da contestualizzare Lettere inglesi nell’humus culturale più adatto alla sua valorizzazione.
Nell’attacco all’intolleranza religiosa e politica e, in parallelo, nella difesa del pensiero empirico e del metodo sperimentale, Lettere inglesi, originariamente scritte su suolo inglese tra il 1727 e il 1728 e pubblicate a Londra nell’agosto del 1733, costituiscono una delle primissime espressioni del pensiero dell’Illuminismo, vero e proprio manifesto dei valori che hanno visto il nascere della cultura del secolo XVIII. Non a caso, Oliver Goldsmith, scrittore e drammaturgo irlandese, descrisse Voltaire come “il poeta e il filosofo d’Europa .
L’opera, tradotta per la prima volta direttamente dall’originale scritto quasi integralmente in inglese, viene proposta al pubblico con la consapevolezza che Voltaire decise di passare due anni in Inghilterra per diventare un autore inglese, con un progetto che superava quindi le motivazioni del mero viaggiare.
Nello stesso tempo, Voltaire fu un’avanguardia anche dal punto di vista della divulgazione dei saperi, essendo  stato uno dei primi a saper convogliare le idee dei filosofi inglesi al grande pubblico.
Per questi motivi, Letters concerning the English Nation si colloca senza dubbio fra i best-seller settecenteschi nelle isole britanniche: nel corso del secolo ne uscirono altre quattordici edizioni.
Voltaire riesce ad affermarsi dunque non “pur” avendo scritto in una lingua straniera, bensì “perché” aveva scritto in una lingua straniera come quella inglese “la lingua di una nazione libera […] l’unica che possa esprimere con vigore ciò che ho potuto soltanto tratteggiare debolmente nella mia lingua nativa”.